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A zonzo per la città

Il giro del mondo delle buchette del vino

Ci sono storie che meritano di essere conosciute, perché parlano delle tradizioni della nostra città; storie che i libri poco raccontano o nascondono tra le righe, come quella delle buchette del vino, piccoli gioielli architettonici incastonati in un patrimonio immenso di antichi palazzi, che spesso sfuggono anche all’occhio più attento.  Eppure loro sono lì da secoli, da quando Cosimo I de’ Medici permise alle famiglie nobili fiorentine di vendere il vino che producevano nelle campagne direttamente nei loro palazzi, attraverso il passaggio dei fiaschi da finestrelle aperte nelle mura. Quelle buchette per anni ignorate, chiuse, vandalizzate, tutt’al più guardate con curiosità, oggi sono salite alla ribalta delle cronache di tutto il mondo, grazie all’Associazione Buchette del Vino, fondata da Matteo Faglia e Diletta Corsini che con passione ed entusiasmo negli ultimi cinque anni le ha censite, restaurate, protette, permettendone oggi il riutilizzo da parte di alcuni esercenti fiorentini. «Le buchette non sono nate per evitare il contagio – spiega Faglia – ma per l’esigenza dei nobili di garantire la propria privacy non aprendo il palazzo a chiunque, per vendere il proprio vino a tante persone. Nel 1600 durante la peste queste aperture sono state utilizzate in senso anti contagio e i soldi venivano posti dentro una vaschetta piena di aceto». È così che le buchette del vino si prestano magnificamente al commercio anti contagio oggi come ieri. È così che la buchetta di via dell’Isola delle Stinche fin dall’inizio della pandemia è stata riaperta e riattivata dal Vivoli per la vendita di cappuccini e di gelati, come quella a lui vicina dell’Osteria della Brache in piazza Peruzzi, e quella di Babae in Santo Spirito per il vino e gli aperitivi e le due finestrelle del Latini. La notizia ha fatto il giro del mondo, trasformando un fenomeno tutto fiorentino e in parte toscano, in un messaggio anti contagio.  Ne hanno parlato, tra gli altri, il Washington Post e il New York Post in America, il The Guardian e il Daily Mail in Inghilterra e sulla scia di questi anche magazine e siti canadesi, australiani, indiani, giapponesi. Tra articoli, interviste a giornali e radio internazionali, la notizia più curiosa arriva da Orlando in Florida dove all’interno del Parco Disney, il ristorante italiano “Tutto gusto Wine Cellar” ha apposto sul muro vicino all’entrata una finta buchetta del vino. «Le buchette del vino, che fino qualche mese fa erano quasi invisibili, sono oggi talmente note da essere diventate il simbolo del vino italiano. – dice Diletta Corsini – È una cosa che ci lascia ancora increduli, ma che ci dà una soddisfazione immensa e ci ripaga della fatica e del grande lavoro che abbiamo fatto in questi anni». «È una storia carina in tempi di Covid –  dice Mary Forrest dell’associazione – da cui viene fuori un altro aspetto della bellezza di Firenze, ed è una grande opportunità per la città».

Ciak si ride, con Alessandro Paci e Company

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Lo scorso mese di agosto, la mia amica Costanza Bernardi mi invitò sul set del nuovo film di Alessandro Paci. Erano i primi ciak e il titolo non era ancora stato deciso. In un clima allegro e simpatico, attori e comparse si divertivano a raccontare barzellette, senza seguire un copione preciso. Dirà poi, Alessandro Paci, che “questo film è l’unico la cui sceneggiatura è stata scritta dopo averlo girato, solo per esigenze di SIAE”. Circa nove mesi dopo, il 29 aprile, ho avuto il privilegio di assistere all’anteprima nazionale di “Non ci resta che ridere” insieme agli attori e allo staff al cinema Principe di Firenze, e ho ritrovato la stessa voglia di divertirsi senza prendersi troppo sul serio del Paci e di tutti quelli che hanno partecipato al suo film, un film in cui si ride…tanto. Ci sono i due carabinieri Gaetano Gennai e Kagliostro, c’è il medico improbabile Massimiliano Galligani, i due preti ancora più improbabili don Emiliano (Buttaroni) e don Raul (Guidotti), alle prese la “suorina” Ilaria Filipponi; c’è la bellissima  e brava Benedetta Rossi che usa tutte le sue armi seduttive con un Paci più interessato alle partite di calcio che a lei, e uno strepitoso Massimo Ceccherini “Ceccù” con i suoi dodici Followers.  Una carrellata di personaggi più o meno noti, tra cui anche il grande Sergio Forconi, personaggi che si ripetono, tessendo fili che uniscono 90 minuti di piccole storie tutte da ridere. E Giacomo Carolei corre… e corre, fino alla fine del film.

Un “Ospedale Senza Dolore”: il progetto di Cure2Children dedicato a Davide Astori

 “E dopo un magnifico week-end con te, Paolo, domani papy partirà per l’India con il dottor Lawrence Faulkner per incontrare e far conoscere a tutti i bambini curati e guariti da Cure2Children! Paolo: “ma tu non sei un dottore, che vai a fare? Ed io: “proverò a raccontare a tutti, attraverso video, interviste ed immagini cosa fa la Fondazione C2C in India, soprattutto per i nostri sostenitori che hanno permesso tutto questo!…e poi incontrerò le famiglie del posto ed i bambini che quando avevano la tua età erano molto malati e sono stati curati e guariti grazie ai dottori della Fondazione che hanno insegnato ai dottori del posto come salvare la vita ad un bambini affetto da malattie terribili. Paolo: “dai un bacio a tutti i bimbi che incontrerai e quando torni voglio conoscerli tutti…cosa c’è di più importante di salvare la vita ad un bambino?”. Paolo, 9 anni, figlio di Francesco Pasciuto, volontario, responsabile della Comunicazione della Fondazione Cure2Children.

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Raccontare Cure2Children è come aprire un libro con le pagine bianche e riempirlo di storie, di immagini, di progetti, di testimonianze, pagine che si replicano e che continueranno a scriversi, col tempo, con amore e dedizione. Storie di bambini a cui la malattia aveva negato la possibilità di guardare ad un futuro di adulti solo per la sfortuna di essere nati in Paesi dove per loro sembrava non esistere una cura, molte volte neppure una diagnosi certa. La maggior parte delle volte le condizioni economiche delle famiglie potevano permettere solo dolore e disperazione. È in questi paesi, cosiddetti emergenti, è per questi bambini, che la Fondazione Cure2Children ha intrapreso la sua mission di portare la cura, mantenendo gli stessi standard terapeutici occidentali, con investimenti modesti. L’India è sicuramente il luogo dove la Fondazione è riuscita a creare un sistema di sanità sostenibile di altissimo livello, con tre Centri già avviati, con personale medico e infermieristico formato e specializzato in loco e oltre 300 trapianti di midollo per la talassemia effettuati. Forte di questi presupposti, è proprio l’India il paese dove Cure2Children ha deciso ancora di “replicarsi”, di fare qualcosa di ancora più grande che guardi non solo alla popolazione locale, ma diventi punto di riferimento per molti altri paesi dove ancora l’accesso alle cure per certe malattie onco-ematologiche, non è garantito. Infatti, la Cure2Children, sta avendo un numero sempre crescente di richieste di aiuto da parte di molte famiglie provenienti dai posti più sperduti del pianeta e, con la creazione di questo centro, potrà dare risposte appropriate a tutti i piccoli pazienti bisognosi di accedere a terapie salvavita. “L’India nella salute globale, almeno per quanto riguarda le non emergenze, ha un ruolo centrale. Il famoso “medical tourism” è vero, perché l’India è imbattibile – spiega il Dottor Lawrence Faulkner – Non è possibile competere con l’India, perché hanno persone in gamba, tutta la tecnologia, producono i farmaci da sé e sappiamo che funzionano alla grande, perché li testiamo costantemente. Dopo un po’ di esperienza mi sono convinto che bisogna garantire alle famiglie un trattamento adeguato a un costo minore possibile. L’accessibilità a cure adeguate e la possibilità di offrirle gratuitamente a chi non può permettersele per noi è la priorità. Abbiamo deciso di fare un grosso centro a Bangalore, perché riteniamo che sia nel migliore interesse delle famiglie, non solo indiane.” È così che Cure2Children sta scrivendo una nuova pagina nel suo grande libro di storie. Ancora non ci sono immagini da mostrare, ma le idee stanno prendendo forma velocemente e anche il progetto di un ospedale pediatrico dedicato alla cura dei bambini onco-ematologici, fatto da medici, con contenuti professionali al top; con almeno 20 sale trapianti e circa 70 appartamenti, per fornire tutta l’ospitalità del caso per le molte famiglie che verranno dall’estero e con una grande parte degli spazi che sarà dedicata ai laboratori. “Puntiamo tantissimo sui contenuti professionali – dice Faulkner – e sul poter garantire nel nostro centro una qualità superiore con una spesa minore di qualsiasi altra parte del mondo. In questa nuova mission nascerà anche un cosiddetto “HUB” per fare formazione a medici ed infermieri e fornire test di laboratorio gratuitamente per cercare di favorire progetti locali.” L’idea è non solo di dare un servizio sanitario di alta qualità a basso costo, ma anche di rendere la permanenza meno spiacevole possibile. Per questo un gruppo di architetti fiorentini sta già lavorando ad un progetto che anche esteticamente dovrà essere bello e soprattutto accogliente, un ambiente che non intimidisca i bambini ma che li faccia sentire a casa loro. “Ci saranno sale giochi, ospitalità e, al posto di una mensa, vari stand che offrono cucine diverse, anche dei fast food che piacciono ai bambini – dice Faulkner – Lo vorrei chiamare “Ospedale Senza Dolore”, perché si avrà la garanzia di soffrire il minimo indispensabile sia per il bambino che per la sua famiglia.

Secondo le previsioni del Dottor Faulkner, il nuovo ospedale di Bangalore, che sarà fatto in collaborazione con Sankalp India Foundation, potrà aprire le sue porte alla fine del prossimo anno, potendo contare sul contributo economico dell’Organizzazione tedesca DKMS  – il più grande centro di donazione di cellule staminali al mondo, che già da sempre fornisce a Cure2Children, gratuitamente, il test del DNA (ovvero la tipizzazione tissutale per capire la compatibilità del midollo tra i familiari e selezionare il “miglior donatore”) –, sull’aiuto della Fondazione Umberto Veronesi e di altre organizzazioni italiane. “Siamo convinti – conclude Faulkner – che l’aiuto dei nostri sostenitori che da 12 anni ci supportano non mancherà, anche attraverso il 5×1000 che quest’anno sarà destinato proprio alla realizzazione di questo Progetto”.

Nel nuovo ospedale di Bangalore ci sarà anche il nome di Davide Astori, il Capitano della Fiorentina, che solo pochi mesi prima della sua scomparsa aveva “abbracciato” la causa della Fondazione con questa frase: “Ogni bambino ha il diritto di giocare la sua partita. Sosteniamo Cure2Children. DA13.”

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“L’Ascensore”, prima fermata Teatro di Cestello

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Una cosa piccola fatta con amore e passione può diventare qualcosa di grande. Così, una piccola produzione indipendente, con un team creativo di giovani professionisti under 35, porterà al Teatro di Cestello in prima nazionale assoluta la versione italiana del musical “l’Ascensore-un thriller sentimentale”, che è stato il maggior successo del teatro spagnolo nel mondo. Lo spettacolo, che sarà in scena dal 26 al 28 aprile, conclude il MINDI, l’unico Festival del Musical in Italia, che ha portato per il secondo anno consecutivo nello storico teatro del rione di San Frediano prodotti di alto livello di produttori indipendenti con attori importanti, nello stile del Musical Off Broadway.  “L’ascensore – un thriller sentimentale” vede protagonisti tre big del teatro musicale italiano: Danilo Brugia, Luca Giacomelli Ferrarini e la fiorentina Elena Mancuso. Dietro le quinte una squadra capitanata dal produttore Giuseppe di Falco e dal regista Matteo Borghi, con la direzione musicale di Eleonora Beddini, le traduzioni delle liriche di Nino Pratticò e i movimenti coreografici di Luca Peluso. Vincitore del premio miglior musical off agli oscar 2017 in Spagna “L’ascensore – un thriller sentimentale”, è scritto e musicato da Josè Masegosa e nella sua versione italiana avrà un allestimento, una regia e un adattamento completamente originali, con soli tre protagonisti in scena e un pianoforte che dialoga con il live electronic di un computer, seguendo il continuo alternarsi di suspense, romanticismo e colpi di scena. La storia è un puzzle che si compone su più livelli, dove la parte emotiva e sentimentale abbraccia la parte thrilling, con un ascensore che va scombinare tutti i piani e crea nuovi intrecci, in un’alternanza temporale che passa dalla mente dei personaggi alla realtà, portando lo spettatore a diventare detective per ricostruire ciò che è successo, riuscendo ad avere un’idea completa solo nel finale. Ambientato nella New York di oggi, “L’Ascensore” narra l’incredibile vicenda dei coniugi Emma e John, che intrecceranno le loro sorti personali a quella di Mark, un giovane la cui malattia ha tolto ogni prospettiva di speranza e di vita, pronto a tutto ormai per quell’unica remota possibilità di scampare a un finale che appare ormai già scritto. Il fato si beffa così di tre fragilità diversissime tra loro rendendole pedine di un gioco tragico dall’esito imprevedibile. Un thriller psicologico che raramente si trova in uno spettacolo musicale e che sta nascendo a Firenze, sul palco del Teatro di Cestello, dove un gruppo affiatato di giovani professionisti e tre attori, da settimane stanno provando in un clima di entusiasmo, simpatia, fiducia e reciproca stima, in attesa che questa sera il sipario si apra per la prima fermata del loro Ascensore.

La lunga pedalata di Gino Bartali, da Villa Triste al “Giardino dei Giusti” di Gerusalemme

“Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca.”

(Gino Bartali)

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In un’afosa giornata di luglio del 1944 Gino Bartali, il grande campione della bicicletta, fu convocato presso il civico 67 di via Bolognese, luogo delle torture e dei crimini fascisti della “Banda Carità”. In quel palazzo di via Bolognese, poi battezzato “Villa Triste”, avevano sede una sezione della polizia tedesca e un reparto della milizia repubblichina, la 92° legione della Milizia Volontaria per la sicurezza nazionale, conosciuta appunto come “Banda Carità”. I tedeschi avevano concesso ai fascisti l’uso dei piani inferiori e degli scantinati del caseggiato dove il famigerato Mario Carità aveva organizzato il Reparto Servizi Speciali, costituiti da criminali di tutti i tipi in cambio di una sorta di amnistia e personaggi dalla mente fortemente disturbata. Il loro lavoro era organizzato in squadre: la squadra degli assassini, la squadra della labbrata, e i quattro santi, forse i più feroci che agivano negli scantinati: quale fosse la loro specialità fu sperimentato da centinaia di cittadini, sospettati di antifascismo in base a denunce spontanee o estorte. A “Villa Triste” venivano condotti gli interrogatori, fatti di stupri, bastonate, furiosi pestaggi anche sui genitali, estirpazione delle unghie, evirazioni e occhi cavati, sigarette spente sui capezzoli delle ragazze; una violenza inaudita che non faceva differenza tra uomini e donne. Era lo stesso Carità, soprannominato “l’Himmler italiano”, a condurre gli interrogatori e le torture e perché non si udissero le grida di sofferenza dei torturati il monaco benedettino Ildefonso (Epaminonda Troya) suonava al piano brani di Shubert e altri classici. In quell’afosa giornata di luglio del 1944, Gino Bartali si trova seduto proprio davanti a Carità per rispondere di una lettera proveniente dal Vaticano, indirizzata a lui, in cui si fa riferimento al “suo aiuto”. I fascisti pensano che il campione abbia trasportato delle armi, ma lui dice di aver mandato solo caffè, zucchero, farina e altri alimenti per i bisognosi e non cambia la sua versione, neanche dopo due giorni passati rinchiuso nelle stanze della villa. Alla fine, Carità, seppur con molta riluttanza, gli crede e Bartali esce indenne da quel luogo degli orrori. Ma la realtà è un’altra. Gino Bartali aveva accettato un incarico importante dal Vescovo di Firenze Elia Dalla Costa: trasportare documenti per consentire agli ebrei rifugiati nei conventi francescani di Assisi di scampare alla deportazione, documenti che nascondeva nella canna o forse nel manubrio della bicicletta. Tra strade minate, ponti saltati e città bombardate, lui pedalava, tra Toscana e Umbria, avanti e indietro. Diceva di allenarsi. Lo fermavano, lo controllavano, lo conoscevano e lo lasciavano passare. Era Gino Bartali. Si racconta che tra settembre del 1943 e giugno del 1944 il grande campione fece almeno una trentina di viaggi, permettendo a centinaia di ebrei di sfuggire ai campi di concentramento. Per una promessa fatta al Vescovo e per proteggere la sua famiglia, Bartali non ne parlò mai con nessuno. Solo quando fu molto anziano ne parlò con il figlio Andrea. ”Il bene si fa, ma non si dice. E poi, io sono un ciclista. Per le mie gare voglio essere ricordato”, gli disse. Ma disse anche che un giorno sarebbe arrivato il momento giusto per raccontarlo. E quel giorno è arrivato nel 2013, quando il nome di Bartali è stato scolpito nel marmo del Mausoleo della Memoria di Gerusalemme, dopo che il campione toscano è stato nominato “Giusto tra le Nazioni”.

Il diario di Letizia, riflessione intima su vita e affetti

Foto libro“…E insomma… Liberatutti!” dell’autrice fiorentina Letizia Castaldo (A&A Marzia Carocci Edizioni) è una riflessione intima sulla vita, sugli affetti, sull’amore. Una sorta di diario in cui gli avvenimenti quotidiani, gli oggetti, i luoghi, diventano spunto per i ricordi che si impigliano tra i capelli crespi e assurdi della strega Liberatutti, quasi un alter ego di Letizia, con il desiderio di possedere una bacchetta magica per assestare le cose della vita. C’è l’amore incondizionato di un padre sempre presente, che “lascia segni sostituendo i sogni che si è portato via”, ad indicare ancora una rotta, per una figlia che conta i giorni da quando la neve l’ha accompagnato via dal suo mondo udibile, verso la luce. Ci sono pensieri, racconti, riflessioni; silenzi e urla sguainate per sconfiggere i mostri e i draghi e le parole sono intervallate da tre puntini, che hanno il valore del battito cardiaco, di una sospensione…e ogni frase di questo libro è una poesia.

Nuova sede e più dolcezze: torna la famiglia Buonamici

20190413_171228C’è qualcosa di nuovo in San Frediano, ma che al tempo stesso dà un senso di continuità con il passato, con una storia e una tradizione che deve continuare, oggi come 70 anni fa. Questo è ciò che la famiglia Buonamici ha voluto fare spostando la sede della storica pasticceria da piazza De’Nerli a via dell’Orto al numero 27 rosso, a pochi metri di distanza da dove nel 1949 il signor Roberto cominciò a sfornare i suoi dolci: i cantuccini, i millefoglie, i budini di riso, la bavarese e tanti altri che ancora oggi vengono preparati con la stessa cura e passione nella nuova bottega. Niente si è voluto perdere dell’identità della vecchia pasticceria, a cominciare dall’arredamento, con l’uso di materiali come la graniglia, la formica, il marmo, su progetto di Guido, il nipote di Roberto; le foto in bianco e nero fanno bella mostra alle pareti e tutto rimanda al desiderio di ricreare un ambiente genuino e autentico, dove le persone possano sentirsi a casa. La novità è la caffetteria, che offre miscele selezionate di caffè Santacruz e uno spazio in cui è stata ricreata una cucina con un grande bancone in marmo, adatto per le colazioni in compagnia, per le merende del pomeriggio e per tanti eventi e degustazioni che sono in programma nella nuova bottega della Pasticceria Buonamici. Sabato 13 aprile, un primo assaggio, con il corso di pasticceria per i bambini e le degustazioni di tè, infusi e di estratti di frutta artigianali; domenica 14, fino alle 12.00, una nuova degustazione dei nuovi prodotti del menù colazione. E poi, l’inizio di una nuova avventura e una storia di famiglia che continua in San Frediano, con Roberto, le figlie Rossella e Patrizia, e con Guido, con l’apertura di un posto nuovo, ma da sempre punto di riferimento del rione, con la stessa consapevolezza e attenzione nella scelta delle materie prime e una linea di biscotti anche per i vegani.

La vita vera, la memoria e i sogni di Marcello Scuffi alla “Florence Art Gallery”

Sarà Marcello Scuffi, con i suoi “Attimi infiniti che sanno di eterno” il protagonista della mostra alla “Florence Art Gallery” di Piazza Ognissanti che è stata inaugurata sabato 13 aprile alle 17.30 nell’ambito della rassegna “Un tè da Ristori”. Quaranta quadri tra acquerelli, affreschi e dipinti a olio porteranno i visitatori nei “paesaggi silenziosi” del pittore di Quarrata: le marine, i treni, le nature morte, che lui preferisce definire scene di vita, “Still life”, in inglese; soggetti che si ripetono ma che cambiano continuamente con la luce, con le prospettive, con i colori. Sempre in bilico tra il sogno e la realtà, Scuffi sfoglia le pagine della sua vita, imprimendo sulla tela la nostalgia dei ricordi di bambino, quando il babbo lo portava a vedere i treni e inventava per lui delle storie o quando andava con la mamma e il fratellino al circo, rimanendo sempre fuori da quel tendone che immaginava come una scatola delle sorprese. Una passione, la sua nata quando era molto piccolo e disegnava figure e cavalli sulla carta azzurrina dello zucchero, fino alla scoperta degli affreschi del ‘300 e del ‘400, di Giotto, Masaccio, Paolo Uccello, di una tradizione pittorica a cui è rimasto sempre legato e l’ha portato ad una ricerca verso una pittura che somigliasse a quella sui muri. Da qui una tecnica tutta sua, che usa la sabbia, i gessi, le colle; fatta di velature, di stropicciature, di mettere e levare il colore, fino a dare vita ai suoi “strappi d’affresco”. “Marcello Scuffi è un vero pittore – dice Franco Ristori – Nessuno può imitarlo per la tecnica, per il quadro che viene fuori togliendo il colore.” E i quadri che saranno esposti alla “Florence Art Gallery” fino al 27 aprile saranno valorizzati ancora di più da cornici raffinate ed eleganti, che Franco Ristori ha creato con l’argento e con i colori che riprendono i soggetti di Scuffi, nella sua storica bottega di via Gianni. Un’attenzione e una cura che Ristori mette anche nella scelta degli artisti e delle loro opere, insieme a Roberto de Ruggiero e che hanno portato alla “Florence Art Gallery” alcuni contemporanei, come Ugo Nespolo, Marcello Scuffi, Claudio Cargiolli, Luigi Pellanda, Ottorino De Lucchi, Luciano Pasquini, Maurizio Monti, Angelo Vadalà, Nino Tirinnanzi e artisti del ‘900, tra cui Riccardo Licata, Ardengo Soffici, Ottone Rosai, Primo Conti, Antonio e Xavier Bueno, Mario Sironi, Mino Maccari, Sergio Scatizzi e molti altri. Questo ha fatto della Galleria un punto di riferimento per appassionati di arte e collezionisti, un luogo accogliente, dove poter ammirare le opere e approfondirne la conoscenza, per decidere in tutta serenità un acquisto importante; ma anche un luogo di incontro con pittori famosi, a cui viene dedicato uno spazio personale in “Un tè da Ristori”, sabato 13 aprile con Marcello Scuffi.

SERGIO FORCONI. Uno spettacolo d’uomo

E’ molto emozionato Sergio Forconi nel parlare del libro “SERGIO FORCONI. Uno spettacolo d’uomo”, che racconta la sua storia di artista, insieme alle sue grandi doti umane. L’autore, Alessandro Sarti, che lo conosce da tanti anni, ha voluto mettere su carta 50 anni di carriera di questo signore dai capelli bianchi, sempre sorridente e gentile con tutti, diventato celebre come Osvaldo, il “babbo” di Leonardo Pieraccioni nel Ciclone. Il libro è una spassosa intervista in cui si ripercorrono i momenti salienti della carriera dell’attore toscano, dall’infanzia trascorsa a San Casciano Val di Pesa, al primo impiego come metalmeccanico, fino all’approdo sul palcoscenico della Casa del Popolo di Grassina e poi su quelli fiorentini, per arrivare infine all’ingresso nel magico mondo del grande schermo e delle fiction. Ma è anche il racconto corale di una persona alla quale tutti vogliono bene, con i contributi di numerosi personaggi che hanno condiviso con lui momenti di cinema o di teatro: Leonardo Pieraccioni, Barbara Enrichi, Katia Beni, Daniela Morozzi, Alessandro Paci, Andrea Bruno Savelli e molti altri. “Per me questo libro è una grossa emozione – ha detto Forconi – Sono un personaggio pubblico, ma 50 anni di carriera non li sento. Non sono abituato a queste cose e qualche volta non ci credo nemmeno io a tutta questa popolarità. Ora sono costretto a crederci, perché è una realtà.” Una realtà che Sergio ha avuto modo di sperimentare in un’affollata conferenza stampa presso il Consiglio Regionale della Toscana, dove ha ricevuto per mano del Presidente Eugenio Giani e dei sindaci Massimiliano Pescini (San Casciano) e Francesco Casini (Bagno a Ripoli) il Crest con il Gonfalone della Regione Toscana. “Sergio per tutti noi rappresentanti delle Istituzioni – ha detto Giani – rappresenta una bandiera, un simbolo, un’espressione dell’identità che noi riusciamo a esprimere in Toscana attraverso quelli che sono i veicoli di comunicazione più efficaci: il cinema e la televisione. Tutto ciò, Sergio è riuscito a interpretare in questi anni attraverso il suo essere al posto giusto sul palcoscenico, sia quando è protagonista che quando non lo è, sia come uomo, che ha unito anche la cultura al sociale.” La presenza di Paolo Bacciotti, ha voluto ricordare che l’incasso del film “Saranno famosi?” girato nel 2018 da Sarti, con protagonista Forconi, è stato devoluto alla Fondazione intitolata a Tommasino. “SERGIO FORCONI. Uno spettacolo d’uomo” edito da Sarnus, uscirà nelle librerie il prossimo 15 aprile e sarà presentato l’11 aprile a Pontassieve, il 17 a Grassina, il 18 a San Casciano e il 19 a Prato.

 

Cure2Children, una serata speciale nel nome di Davide Astori

Era bellissimo il Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, con gli eleganti tavoli apparecchiati di bianco, con le statue e gli affreschi monumentali illuminati per una sera dal colore viola, il colore della Fiorentina e del suo amato capitano Davide Astori, scomparso prematuramente lo scorso anno. Un ragazzo giovane che aveva aperto il suo cuore ai bambini malati diventando testimonial della Fondazione Cure2Children con il motto “Ogni bambino ha il diritto di giocare la sua partita. Sosteniamo Cure2Children!” Erano in tanti ieri sera nel Salone dei Cinquecento, seduti intorno a quei tavoli bianchi, dai familiari di Davide alla dirigenza della ACF Fiorentina, l’allenatore Stefano Pioli e Manuel Pasqual, Bruno Conti in rappresentanza della Roma  e il Cagliari Calcio; c’erano l’Assessore alle politiche sociali e welfare del Comune di Firenze Sara Funaro e il Presidente del Consiglio Regionale Eugenio Giani. C’erano Leonardo Pieraccioni e Giorgio Panariello e Carlo Conti in un contributo video e c’era Lorenzo Baglioni, che ha condotto la serata. Volti noti e meno noti, amici, sostenitori e volontari, tutti insieme per una sera nell’evento di solidarietà “Crescere senza confini” organizzato da Cure2Children per ricordare Davide, ma anche i progetti della Fondazione, quello in Ghana intitolato al calciatore a cui ne seguirà un altro in India e quelli in tutti i Paesi Emergenti nel  mondo dove C2C ormai da 12 anni porta la cura ai bambini, laddove spesso non è garantita neanche una diagnosi certa. Con investimenti modesti e al contempo preservando gli stessi standard terapeutici e qualitativi dei Paesi occidentali. “La Fondazione è il nostro modo di sopportare il dolore che ci dilania il cuore e l’anima. Ogni bambino che guarisce è per noi una gioia” ha detto Cristina Cianchi, la Presidente. E sono tanti i bambini che grazie a C2C sono guariti da tumori e malattie del sangue, dalla leucemia in Kosovo, alla talassemia in India e in Pakistan, dall’anemia falciforme in Africa, al neuroblastoma. E tanti quelli che si stanno curando nei centri di trapianto di midollo di C2C, tutti continuamente monitorati dal dottor Lawrence Faulkner con il suo database online e spesso anche con la presenza in loco. Il dottor Faulkner, che una volta mi ha detto: “quello che facciamo in sanità è riassunto abbastanza bene da una frase di Bill Drayton: se veramente vogliamo aiutare i paesi in via di sviluppo non basta dare loro il pesce o la canna da pesca, ma bisogna insegnare una industria peschiera competitiva.” C’era anche lui seduto ad un tavolo bianco, ieri sera, con il suo sorriso che scalda il cuore e c’era Roberto Valerio a fare gli “onori di casa” insieme a Francesco Pasciuto, attento coordinatore di tutta la serata. Ho avuto l’onore di esserci anche io a questa serata, che non poteva che essere speciale, perché loro sono speciali.

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Roberto Valerio, con Serena Quercioli, per una nuova Campi Bisenzio

 

Non abbiamo bisogno di chissà quali grandi cose o chissà quali grandi uomini. 

Abbiamo solo bisogno di più gente onesta. 

Benedetto Croce

 

CAMPI BISENZIO – Forza Italia è pronta ad affrontare a testa alta il prossimo appuntamento elettorale. A dare un importante contributo ci sarà anche Roberto VALERIO attuale Vicepresidente del Consiglio Comunale.

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Roberto Valerio: “Serena Quercioli, una persona intelligente e di un equilibrio non comune, ricca delle più belle virtù umane”.

Inceneritore: “…inutile e dannoso insediamento industriale che ha il triste primato di occupare il primo posto in termini di inquinamento ambientale”.

 

Com’è il bilancio dell’attivismo di Forza Italia in questi 5 anni di ferma opposizione a Campi Bisenzio?

Sono stati 5 anni di intensa attività ispettiva e propositiva (CIRCA 500 ATTI) che non ha precedenti nella storia amministrativa del comune di Campi Bisenzio. Un lavoro incredibile e di altissima qualità che però non ha generato i risultati sperati. L’amministrazione Fossi ha sempre risposto in maniera evasiva e dilatoria e, per certi aspetti, a volte, anche provocatoria. Abbiamo assistito ad un dispendio di denaro pubblico speso per tamponare “emergenze” o “errori” commessi in “passato”, le cui responsabilità, incredibilmente, non sono mai state individuate né perseguite, se non in alcuni particolari casi dove siamo riusciti ad intervenire con estrema fermezza: per ricordare, un caso emblematico il libro “Camp Lab 1 fermata”  fatto stampare con soldi pubblici che ha causato un danno erariale di oltre 7000 euro così come ravvisato dalla Corte dei Conti.  Tanti soldi dei cittadini andati in fumo con modalità non conformi alla legge per fare in sostanza solo propaganda politica, oltre ad avere costituito una spesa del tutto inutile, visto che molte delle 1.500 copie stampate  sono rimaste parcheggiate presso la Sede del Gabinetto del Sindaco e poi, probabilmente, buttate. E di casi di spreco di denaro pubblico nei abbiamo visti molti altri.

Dalle elezioni del 4 marzo come è emerso lo stato di salute del centrodestra?

Sicuramente, le elezioni politiche del 4 marzo u.s. hanno evidenziato a Campi Bisenzio un importante consenso per la coalizione del centrodestra di cui faccio parte. Questo risultato pone la nostra coalizione in una posizione tale da potersi candidare al governo della città dove risiedo dal 1999. Ecco perché credo che sia davvero un’occasione da non perdere per i cittadini di Campi Bisenzio, considerando che Maria Serena Quercioli, candidata sindaco, è un’ottima competitiva concorrente alla carica di primo cittadino. Una persona intelligente e di un equilibrio non comune, ricca delle più belle virtù umane. Affermo questo perché la conosco personalmente da tanti anni e non solo sotto l’aspetto professionale.

In previsione come pensate di presentare il partito e il programma…

Ovviamente utilizzeremo molto anche la rete perché è uno strumento libero, diretto, per certi aspetti rischioso ma che mette a nudo tanti aspetti personali utili per comprendere meglio con chi abbiamo a che fare. Ritengo che dopo questa intensa attività svolta in questi 5 anni, seppur con scarni risultati  siamo, tuttavia, giunti alla conclusione, come gruppo politico, che ci troviamo di fronte ad una amministrazione totalmente “ingessata”. Chiunque di voi abbia chiesto di parlare con il Sindaco, un assessore o un loro collaboratore, il più delle volte è tornato a casa con l’amarezza di aver perso tempo e la consapevolezza di trovarsi di fronte ad una amministrazione lontana dalla realtà del territorio con le sue problematiche ed impellenti necessità. Un esempio, tra tanti, è la questione sicurezza che viene costantemente minimizzata quando  invece la situazione è, purtroppo, molto grave e di quotidiana attualità. Tornado alla domanda, il programma di coalizione che stiamo ultimando e condiviso con Serena Quercioli e la coalizione tutta mi rende molto ottimista riguardo al risultato che otterrà perché avrà come obiettivi concreti e attuabili la sicurezza, sevizi educativi di qualità e accessibili a tutti, la salute dei cittadini essendo un territorio già pesantemente compromesso anche per colpa di una viabilità compromessa da lavori promessi da decenni e mai attuati. Rendere assolutamente più efficienti i servizi comunali senza dimenticare il decoro urbano che soffre di anni di immobilismo. Riguardo l’inceneritore, questione da me personalmente affrontata fin dal 1999, a tale data, infatti, risale il mio primo atto contro tale scellerata decisione all’epoca solo ipotizzata. Ora attendiamo con fiducia la sentenza del Consiglio di Stato, ma nel frattempo continueremo ad impedire la realizzazione di tale inutile e dannoso insediamento industriale che ha il triste primato di occupare il primo posto in termini di inquinamento ambientale.

Infine vedremo spiccare sempre Roberto Valerio tra i candidati più votati di tutti gli schieramenti se ricordo bene è così o sbaglio?

A differenza delle elezioni politiche dove siamo portati a scegliere il partito, alle elezioni amministrative del prossimo 10 giugno, invece, si voteranno anche le persone, dando il voto di preferenza per la diretta conoscenza personale del candidato prescelto e dei suoi valori umani e politici; più semplicemente, è la storia individuale delle persone che fa la differenza. Ritengo che in questa tornata elettorale saranno anche i miei colleghi in consiglio, Paolo Gandola e Chiara Martinuzzi a emergere per lo straordinario lavoro fatto in consiglio comunale oltre a non elemosinare mai tempo per mettersi a disposizione delle tante persone più fragili e bisognose di attenzioni che in questi anni si sono rivolte a Forza Italia. Poi ci sarà Maria Serena Quercioli, candidata a sindaco, che porterà la coalizione alla direzione di Campi Bisenzio. A rafforzare questa mia personale convinzione è il fatto che il centro sinistra si presenta spaccato: da una parte con l‘ex sindaco Chini e dall’altra l’attuale Fossi. Una battaglia generazionale solo per sete di potere, uno scontro che però volge a nostro favore.

 

 

 

Roberto Valerio

 

Nato a Sabaudia, in provincia di Latina, nel 1965, vive a Campi Bisenzio dal 1999. Militare in servizio permanente dal 1982 ed in servizio presso l’Istituto Geografico di Firenze.
In qualità di delegato Co.Ce.R., massimo organismo rappresentativo di tutti i militari, ha collaborato attivamente alla stesura della legge 30 aprile 1999, n. 136, “Norme per il sostegno ed il rilancio dell’edilizia residenziale pubblica e per interventi in materia di opere a carattere ambientale”, ottenendo stima e consensi dai membri di ogni schieramento politico della commissione incaricata e naturalmente dai colleghi. Successivamente, nel Comune di Siena ha ricoperto il ruolo di consigliere del quartiere 5 e di membro aggiunto della commissione Sport.
Negli ultimi anni, è stato ininterrottamente confermato consigliere comunale presso Campi Bisenzio.

Dopo anni di volontariato e di incarichi dirigenziali presso organizzazioni ONLUS, con lo scopo di cura e ricerca per le patologie onco/ematologiche infantili, ha dato un contribuito fondamentale alla nascita della Fondazione Cure2Children, in supporto ai bambini con tumori e malattie del sangue, indipendentemente da etnia, religione o regione geografica. Muhammad Yunus, premio Nobel per la Pace, nel suo penultimo volume intitolato “Si può fare”, ha presentato tale organizzazione benefica come un caso esemplare di learning organization, ovvero di struttura capace di crescere imparando, e di business sociale in grado di creare un capitalismo più umano.
Rieletto nel 2013 in Consiglio Comunale di Campi Bisenzio, nella lista Il Popolo della Libertà, ha ricoperto il ruolo di Vicepresidente del Consiglio Comunale.
 

 

 

 

 

 

Piccoli attimi di felicità

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Ieri mattina, dieci bambini hanno cantato “tanti auguri a te”. Niente di strano, se fossimo stati ad una festa di compleanno di un loro coetaneo, in pizzeria. Invece, eravamo nella Sala delle Feste del Palazzo del Consiglio Regionale della Toscana e i bambini, tutti provenienti dal Kosovo, erano una piccola rappresentativa di quelli che sono guariti da leucemie o altre malattie onco ematologiche grazie alla Fondazione Cure2Children. E’ proprio per Cure2Children che i piccoli, alcuni senza conoscere una parola di italiano, hanno intonato gli auguri per i dieci anni della Fondazione. Questo è stato solo uno dei momenti di felicità che hanno riempito di lacrime gli occhi degli ospiti all’evento “Crescere senza confini”, organizzato da Cure2Children, per raccontare e condividere i primi dieci anni di un grande impegno, di importanti risultati e le iniziative future, con tutte le persone che hanno creduto e appoggiato il grande progetto di andare a curare i bambini del mondo, nei loro paesi, senza sostituirsi ai medici, senza sradicarli dai luoghi di origine. Tra questi, a metà del cammino di Cure2Children, anche il Professor Umberto Veronesi, alla cui memoria è stato dedicato l’incontro di ieri, nelle parole commosse di Cristina Cianchi, Presidente della Fondazione e in quelle di Lorena Passoni, Supervisore Scientifico della Fondazione Veronesi, ricercatrice, donna di grande sensibilità. Tra i bambini venuti dal Kosovo, anche Samire, per cui è stata dura raccontare la sua storia di ragazzina quindicenne destinata a morire in un ospedale di Pristina, guarita grazie a Cure2Children, nel 2008, nella sua prima Mission “Oncologia Pediatrica in Kosovo-Insieme, uniti per i bambini di Nicola”, in collaborazione con l’Associazione “Nicola Ciardelli” di Pisa. Un incontro del destino, raccontato da Federica Ciardelli, nel ricordo del fratello deceduto nell’attentato a Nassirya durante una missione umanitaria nel giugno 2006. Un lungo abbraccio di Federica a Samire, oggi giovane donna, studentessa di psicologia, con le lacrime che non riesce a trattenere, così come Mjedra, anche lei guarita da una leucemia da piccola, qua insieme alla madre Leonora, l’angelo dei bambini dell’ospedale di Pristina. Le parole del Dottor Lawrence Faulkner, Coordinatore Scientifico di Cure2Children, sono entrate nel vivo di ciò che concretamente viene fatto per i bambini, la diagnosi, le terapie, i protocolli, il database che consente a Faulkner, ogni giorno, a qualunque ora, di avere sotto controllo la situazione di tutti gli ospedali nel mondo in cui la Fondazione opera, un database che contiene i nomi di circa seimila bambini. Il dolore che prende il volto della gioia, le immagini delle mission di ieri e di oggi, in Kosovo, in India, che scorrono su un video, le testimonianze, e Cure2Children che diventa un cartone animato “Tanto con poco”  di Lorenzo Baglioni e anche una canzone “Troverai”, realizzata dal DJ Federico Scavo e Alessandro Canino.  Un bel discorso, poco istituzionale e molto umano, dell’Assessore Stefania Saccardi e un impegno a condividere un po’ di futuro con la Fondazione, hanno anticipato l’intervento di Roberto Valerio e i suoi ringraziamenti a tutti i presenti che, ognuno in modo diverso, collaborano con Cure2Children e la consegna delle targhe ai rappresentanti di varie Associazioni, in un dono reciproco di amore e gratitudine, compresa Cesarina, un’anziana mamma con il sorriso di oggi che nasconde un dolore di tanti anni. Dopo le foto, gli abbracci e le facce buffe dei più piccoli, i bambini del Kosovo, con le loro magliette con il logo della Fondazione e i cappellini rossi, insieme a Roberto, Francesco, Leonora e le infermiere dell’ospedale di Pristina,  hanno fatto un breve giro in piazza del Duomo, con altre foto, altre interviste, sotto gli sguardi incuriositi dei turisti e…dieci minuti “rubati”, con le ragazze più grandi, Samire, Mjedra e Fatjona a fare shopping da Kiko. Piccoli attimi di felicità.

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Grazie di cuore, Cure2Children,  grazie, Roberto, Cristina, Dott. Faulkner, Francesco, per tutte le cose meravigliose che fate per i bambini, per l’impegno e la dedizione che ci mettete, oggi come 10 anni fa e grazie per avermi voluto con voi ieri a condividere questo compleanno così importante. Che sia l’inizio di tanti altri progetti, di nuove collaborazioni e che i sorrisi dei bambini si moltiplichino all’infinito, fino ad abbracciare il mondo, come nel cartone animato di Lorenzo Baglioni.

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Un “perché” di Leonardo Pieraccioni e una risposta di Cure2Children

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Ci sono personaggi che conosciamo per il loro umorismo, che si presentano al pubblico sempre sorridenti e pronti a fare battute. Troppo spesso, però, non pensiamo che dietro tutto questo, spenti i riflettori, ci sono persone che vivono una vita normale, con tutte le gioie e i problemi della quotidianità. Leonardo Pieraccioni, un giorno, circa dieci anni fa, ha conosciuto un bimbo di otto anni, Matteo, suo grande fan, che a differenza di tanti altri bambini, che vanno a scuola e giocano a pallone, faceva la chemio all’ospedale pediatrico fiorentino. E arriva un momento in cui il personaggio famoso e la persona si scollano, per mantenere da un lato l’immagine “burlona” che piace a Matteo, che ne ha bisogno per sorridere, dall’altro la devastazione interiore di vedere un bimbo che lotta contro una grave malattia oncologica. “Un giorno vado a trovare Matteo che fa la chemio al Meyer -racconta Pieraccioni – E lì entri in una bolla surreale. Tanti bambini, ragazzini, che fanno la chemio. E li ti pare tutto sospeso, tutto irreale, parli e non sai quello che dici, accenni un sorriso e non sai perché, cerchi di fare il disinvolto e dentro ti chiedi solo “Perchè? ma perchè?”. Rientro in macchina da quella visita e sto trenta minuti in silenzio da solo con quella domanda che mi rimbomba in testa “Perché?”.  Purtroppo Matteo non ce la fa e i suoi genitori, Dario e Gigliola, insieme ad altre famiglie che sono passate dalla loro stessa sofferenza, decidono di creare una Fondazione, che possa dare un aiuto concreto, sul posto, a tanti bambini e ragazzi che vivono in Paesi Emergenti dove a causa di conflitti o di estrema povertà non è possibile accedere a cure adeguate per malattie oncologiche. Una Fondazione unica, Cure2Children, che da subito trova l’appoggio di Leonardo Pieraccioni, che dice “Sono pochi ma motivatissimi, “pigliano, partono e fanno!”, perché  non ha mai dimenticato Matteo, a cui è riuscito a dare un sorriso esaudendo un suo piccolo sogno e nella sua testa, che oggi è anche quella di un padre, rimbomba ancora quel “perché” a cui nessuno potrà mai dare una risposta, ma che si può combattere con la forza di un dolore che diventa energia positiva. Quando Dario e Gigliola hanno un altro bambino, lo chiamano Leonardo e in lui rivive anche un po’ Matteo, “perché la vita deve essere sempre più forte, per forza”. Purtroppo Dario,  in un momento di sconforto decide di andare per sempre a riabbracciare Matteo ed è un colpo durissimo, anche per Pieraccioni. “Mi ricordo bene quando me lo dissero per telefono- racconta-  Rimasi letteralmente pietrificato, letteralmente. Quel giorno m’incazzai con Dario, gli parlai a voce alta come se lui avesse potuto sentirmi. Mi prese lo sconforto, non aveva per me più senso la Fondazione, interpretai quel suo gesto come una sconfitta anche mia che non avevo intercettato il suo profondo dolore. Scrissi a Gigliola, la moglie “non me la sento più di continuare con Cure2Children” lei mi rispose “fai solo quello che ti senti”. Poi per un giorno pensai a Matteo, a Dario, a Leonardo alla sorella Sophia, a quel giorno passato in ospedale e alla mia domanda “Perchè?”. La forza, le motivazioni di quei genitori che hanno fatto della loro sofferenza un messaggio di speranza per tante altre famiglie, ha fatto sì che il dubbio di Pieraccioni di lasciare Cure2Children durasse solo qualche giorno e, nel ricordo di Matteo e di Dario, ha trasformato il suo personale dolore in un grande abbraccio a tutti quei bambini a cui la malattia oncologia ha strappato un pezzo di infanzia, ma che oggi possono sognare concretamente un futuro, mettendo il suo volto sorridente di personaggio pubblico e la sua storia,  a disposizione di Cure2Children, con un messaggio: “Sono ancora qui a dirvi che c’è una Fondazione sana, bella, forte, che “piglia parte e fa”. Andate a vedere che cosa fanno sul loro sito: curano i bambini affetti da tumori e malattie gravi del sangue direttamente nel loro Paese, senza mai sostituirsi ai medici locali. Se volete sostenere qualcuno sostenete una Fondazione che non perde tempo e che opera con risultati. Io ho voluto raccontarvi perché sono legato a loro, perché per me è stata ed è una storia che mi ha profondamente colpito. Cure2Children ha una storia che va raccontata perché lì ci sono i motivi di un impegno concreto, sentito, fortissimo. Adesso ad ogni risultato positivo che loro ottengono penso sempre che da qualche parte ci siano un padre ed un figlio che sorridono insieme. E quel sorriso mi pare un ottimo motivo per continuare a sostenerli”.

Una serata “Universale” con i veri protagonisti di un cinema indimenticabile

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Il 30 dicembre del 1989, il cinema Universale chiudeva definitivamente i battenti, dopo la proiezione dell’ultimo film in programma, «Tarzoon la vergogna della giungla». Se lo ricorda bene Alessio Papini, l’ultimo proiezionista, che ha tirato giù il bandone quella sera. È stato proprio il Papini, insieme ad altri «compagni di avventura», che come lui hanno vissuto la storia di un cinema di periferia, nel quartiere del Pignone, divenuto negli anni ’70/80 d’essai grazie all’intuizione di Giancarlo Pellegrini, storico programmista, a «riaprire le porte» della memoria di quel luogo passato alla storia come una specie di raccolta di leggende metropolitane: la vespa in sala, il fumo denso delle canne, i commenti, le retate della polizia. Al Circolo Rondinella del Torrino, Matteo Poggi e l’Associazione Navicellai hanno restituito la parola ai protagonisti di questo cinema, per sottrarlo alle sue leggende e riconsegnarlo alle sue storie, quelle reali, in un momento in cui si è tornati a parlare di questo cinema, a seguito dell’uscita nelle sale del film di Federico Micali. Nicola Bina ha rivissuto il suo lavoro come proiezionista dal 1984 al 1988, passando poi il testimone ad Alessio Papini e a Giancarlo Pellegrini, con le sue locandine colorate di cui tappezzava le bacheche delle università, portando al cinema tanti giovani studenti, tra cui Luigi Nepi, docente di critica cinematografica presso l’università di Firenze, che proprio all’Universale ha capito che la sua strada non era studiare legge ma cinema. È stata poi la volta di Andrea Bargioni, nipote del piccolo/grande fotoreporter Cesare Red Giorgetti, autore dell’unica foto dell’interno dell’Universale, tanto vista sui giornali e sul web. Grandi assenti il buttafuori Romanone e la cassiera Graziella per motivi di salute, che sono stati ricordati dai loro colleghi e da chi li ha conosciuti in qualità di spettatori e si è preso anche qualche scappellotto dal primo e «rospata» dalla seconda, piccola di statura ma tosta «che se non voleva far entrare qualcuno non c’era verso che cambiasse idea». Una serata voluta da Matteo Poggi — autore nel 2001 del libro «Breve Storia del Cinema Universale» e nel 2008 del documentario «Cinema Universale d’essai» con la regia di Micali, seguiti poi nel 2013 dal libro «Spoon river dell’Universale» — che ha voluto far conoscere le persone che hanno fatto dell’Universale quel luogo di cui molti oggi parlano. E che sono state per lui fonti preziosissime nella ricostruzione delle storie legate a questo cinema indimenticabile.

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Ph Alessio Quadri

Vyta Santa Margherita, alla stazione una sosta gourmet

La grande scritta in alto, sulla parete d’ingresso del nuovissimo “Vyta Santa Margherita”, il network di gourmet bar facente capo alla Retail Group di Nicolò Marzotto, ricorda che lì, nell’atrio di fronte ai binari 12 e 13 della Stazione Santa Maria Novella, un tempo c’era la “sala d’attesa”, luogo di passaggio e partenza, oggi luogo di sosta per viaggiatori e turisti, ma anche per fiorentini che abbiano voglia di assaporare l’assortimento di prodotti di altissima qualità, dolci e salati che caratterizzano il concept. Ogni giorno, dalle 6,00 alle 21,00, dal caffè con brioche della mattina all’aperitivo prima di cena, passando per i panini mignon con i nomi delle città “Portofino”, “Bologna”, “Torino”, “Firenze”, imbottiti con prosciutto, salame, mortadella, mozzarella di bufala, che sembrano dei fiori, i croissant dolci e salati, la pizza, i muffin “tulipano” di vari gusti, i biscotti artigianali, le torte e i macarones, ogni cosa è curata nell’aspetto e nella scelta dei prodotti e delle materie prime. Il tutto con un ottimo rapporto qualità-prezzo. L’attenzione è grande per ogni dettaglio, dal cibo, al caffè, alle migliori etichette di vini del gruppo vinicolo Santa Margherita, ma anche per l’arredamento moderno, dove il rame, il marmo e il vetro si inseriscono perfettamente all’interno del verde delle pareti e del legno un po’ retrò, ricordo della vecchia sala d’attesa, impreziosite dalle foto in bianco e nero firmate dagli architetti del “Gruppo Toscano” che nel 1932 vinse il concorso per il Nuovo Fabbricato Viaggiatori della Stazione di Santa Maria Novella. Un mix tra design contemporaneo e “sapore antico”, che conferisce all’ambiente un senso di calore e di accoglienza. Un luogo dove si può trovare una giovane ragazza che sorseggia un bicchiere di vino rosso mentre legge un libro di cucina, vicino ad un manager con la ventiquattrore che manda messaggi con il telefonino davanti ad una tazza di caffè e ad una signora anziana con la borsa della spesa che addenta un panino, con in sottofondo la musica di “Mambo n°5”. Il personale è giovane e molto attento alle esigenze della clientela, con un’offerta di prodotti anche per vegetariani e vegani, come la pizza fatta con carbone vegetale. Il “Vyta Santa Margherita” di Firenze è il settimo dei locali del Retail Group, dedicati alla ristorazione nell’ambito di Grandi Stazioni, dopo Roma, Napoli, Milano, Torino, Venezia e Bologna, ed è stato inaugurato il 24 maggio di quest’anno, ma già c’è il progetto di aprire all’interno un “fine food”, uno store di prodotti di alta qualità del territorio. All’inaugurazione erano presenti Nicolò e Gaetano Marzotto, gli assessori Alessia Bettini e Giovanni Bettarini, la vicesindaco metropolitano Brenda Barnini.“Le scelte a favore di qualità, assortimento e rispetto delle eccellenze locali di VyTa – ha dichiarato Nicolò Marzotto – hanno reso il nostro concept un format di successo che in pochi anni si è affermato non solo nell’ambito delle stazioni ma che da quest’anno è apprezzato anche in contesti cittadini diversi e che per il prossimo futuro punta all’obiettivo ambizioso dell’avvio dell’internazionalizzazione in Europa, con un primo locale VyTa Santa Margherita a Covent Garden, Londra”.

Un incontro di arti tra luci, colori ed emozioni

L’incontro di due arti, la pittura e la danza, al Florence Dance Center di Borgo di Borgo della Stella 23r, che fino al 5 aprile ospita la personale “A symphony of Seasons” di Devdatta Padekar. Il pennello del giovane artista indiano  dialoga con la natura dei paesaggi alpini, che passa attraverso la luce e il colore, in un percorso visivo ed emozionale. Gli stessi colori dei quadri hanno ispirato la performance a cura di FloDanceCorps, con coreografie di Marga Nativo, che ha reso omaggio al pittore in apertura della mostra domenica 13 marzo.

Polvere di grafite e parole in libertà al Museo Marino Marini

Indossare le sovrascarpe usa e getta per calpestare un pavimento di grafite e accorgersi, togliendole, che oltre ad aver lasciato un po’ delle nostre impronte, un pezzettino di un’opera d’arte è rimasto impresso sulla plastica azzurra, fa parte del “dialogo” che Tony Lewis ha voluto creare con il pubblico, tramite l’installazione di tredici sue opere nella cripta del Museo Marino Marini. Una mostra dal titolo Alms Comity and Plunder, la prima personale in Europa in uno spazio istituzionale del giovane artista afroamericano, con vaste aree dedicate ai Floor drawing, grandi disegni/sculture, tappeti di grafite che si portano dietro il ricordo di altri tempi e altri spazi, con il calpestio delle persone che li ha usurati e, uno nuovo, creato per una sala del Museo. Con la sua arte Lewis dà forma a parole e frasi che rimandano al libro Life’s Little Instruction Book, un testo degli anni’90 scritto da un padre al figlio, con regole e stereotipi della middle class americana, che offrono più chiavi di lettura:  Look people in the eye, è la frase che campeggia, grande, sulla parete in fondo alla cripta, realizzata con viti, elastici e pigmenti.  Alle pareti compaiono dei disegni, in cui la parola viene destrutturata e il valore semantico e segnico delle lettere assume una autonomia rispetto ala composizione. Museo Marino Marini 12 marzo-23 aprile 2016.

Una piazza, un cantiere, la creatività degli street artists e l’unione di tante forze per “Cantieri Creativi”e…buongiorno alla fontana restaurata!

Non sposate le mie figlie!

Un arabo, un ebreo e un cinese, sposati alle tre figlie di una coppia borghese, cattolica e conservatrice, tra difficoltà di accettare il “diverso” e pregiudizi. Quando la famiglia sembra aver trovato un equilibrio, ecco che la quarta figlia porta a casa un promesso sposo africano. Un film francese che insegna come, pur nelle differenze di razza e di religione, si possano trovare punti in comune e come basti poco ad avvicinare distanze che sembrano lontanissime, anche sapendosi prendere un po’ in giro.

Scrivere è un po’ come cucinare. Bisogna mettere insieme gli ingredienti, creando tra loro un equilibrio, che esalti il sapore dell’ingrediente principale.

Le mele di Adamo

Una storia di riabilitazione intrecciata con vicende di sapore biblico, esplicitamente ispirate al Libro di Giobbe, con un grande Mads Mikkelsen nei panni di un pastore protestante, che nega l’evidenza delle sue sventure fino a rendersi ridicolo e Ulrich Thomsen, neonazista che, scontata una pena detentiva, prima di tornare definitivamente in libertà, deve trascorrere un periodo presso la sua parrocchia. Un film duro, cattivo, di una cattiveria a volte quasi inumana, ma che diventa momento catartico per mettere i protagonisti di fronte a paure difficili da affrontare. Fino al felice epilogo…in una tortina di mele.

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